Pechino dà lo stop agli investimenti esteri in gambling e calcio: cambiano gli scenari nel poker

Pechino ha detto stop: basta spese folli ed investimenti nel calcio e nel gambling. La priorità, d’ora in poi, sarà quella di preservare la liquidità interna e di difendere la valuta nazionale. Gli investimenti dovranno sostenere la crescita interna.

Avevamo visto come nel poker, la Cina si stava prendendo il mercato, mantenendo un basso profilo, ma questo nuovo divieto di Pechino rischia di far saltare il piano silente di espansione asiatico nel settore.

Lo stop per football e gioco d’azzardo diventa una priorità, secondo l’agenzia giornalistica nazionale Ansa. Gli investimenti oltre confine verranno classificati e limitati in base al settore. Se ritenuti strategici per la crescita dell’economia, il Partito Comunista darà il proprio assenso, in caso contrario, non sarà consentito portare valuta all’estero neanche giustificando investimenti mirati. Parecchie acquisizioni (e capitalizzazioni) verranno bloccate ed, in tutti i casi, ci vorrà il preventivo assenso di Pechino.

La vicenda del Milan è stata emblematica in questi mesi con i nuovi proprietari che hanno aspettato mesi per ottenere l’autorizzazione da Pechino per capitalizzare il club rossonero: alla fine hanno dovuto ricorrere in parte ad un finanziamento (attraverso un fondo ed una banca inglese) per le operazioni correnti  (mercato in primis) mentre i capitali a garanzia dei soci sono rimasti in Cina.

Vi è stata però, poche ore fa, una presa di posizione ufficiale da parte di Pechino: a sorpresa, tra i settori nel mirino, oltre al calcio e al gambling sono entrati anche l’immobiliare (in particolare gli hotel), l’intrattenimento e nella lente d’ingrandimento sono finiti i club sportivi.

Questa notizia arriva a seguito di rumors molto forti su una mega offerta da parte di un gruppo asiatico nei confronti di FCA, in particolare per quanto riguarda l’asset della FIAT (escluse Ferrari e Alfa Romeo). La prima proposta è stata spedita al mittente ma si continua a trattare. Ed ora cosa succederà? Un investimento simile sarà ritenuto strategico oppure no?

Un altro limite severo che non potrà essere aggirato: nessuna società cinese potrà essere coinvolta in operazioni che possano mettere a repentaglio gli interessi nazionali e la sicurezza del paese. Il Governo ha precisato che rientreranno in questo ambito la produzione di tecnologia militare, il gioco d’azzado e la pornografia.

Tutto ciò comporta delle conseguenze nel mercato del poker se pensiamo solo al World Poker Tour (da due anni controllato da Ourgame) o dalla GPI (i maggiori investitori della Global Poker Index sono di Hong Kong e Pechino). Ma forse l’operazione più importante di questi anni riguarda la scalata di Tang Hao a Stars Group (ex Amaya e proprietaria di PokerStars e Full Tilt). Il finanziere di Hong Kong possiede l’11% delle quote del gruppo canadese (quotato al Nasdaq e alla Borsa di Toronto) ed è il primo azionista personale con un investimento di circa 400 milioni di dollari.

Il colosso dell’e-commerce Alibaba ha un proprio circuito (International Poker Tour – IPT) mentre Bodog è passata da Calvin Ayre ad un misterioso fondo di Hong Kong ed ora si è trasformata con il nuovo brand in PaiWangLuo.

Alla luce della  forte presa di posizione ufficiale del Governo cinese, è facile comprendere come sia dietro l’angolo uno stop allo shopping dei businessman cinesi nel settore del gioco, ma sono a rischio anche le operazioni pre-esistenti. Pechino imporrà dei disinvestimenti oppure i nuovi divieti varranno solo per le future acquisizioni? E’ più probabile la seconda soluzione.

 

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Una cosa è certa. Nel gaming assisteremo alla fine dello shopping sfrenato dei businessmen con gli occhi a mandorla. Le principali società dell’e-gaming rimarranno in mano occidentale nei prossimi anni. Gaming company quotate come 888 Holdings, Playtech e Party Gaming (Bwin) potevano essere esposte a scalate molto probabili ed invece difficilmente cambieranno i loro assetti azionari.

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