Perchè Jake Cody è Jake Cody e noi no: la gamblata è di chi se la può permettere

Nei giorni scorsi si è fatto un gran parlare della “gamblata” di Jake Cody, che ha preso l’intero premio di un torneo live vinto al Dusk Till Dawn per giocarlo sul nero alla roulette. Vincendo.

Qualcuno ci ha scritto in privato lamentando il fatto che si tratterebbe di un video diseducativo, poiché istigherebbe al gambling. Dall’altra parte, invece, ho visto tantissimi lettori divertiti dalla bravata del campione inglese. Forse è il momento di fare qualche distinguo. Innanzitutto è il caso di contestualizzare il gesto di Cody, o almeno provare a farlo.

Se lui è Jake Cody e io no, una ragione ci sarà

No, voi non siete Jake Cody

Nell’ultima puntata del suo seguitissimo “vlog”, pubblicato poche ore prima di partire per il PartyPoker Live, Jake Cody parla dell’ultimo periodo che ha vissuto. L’inglese è stato in difficoltà per via soprattutto della fine della relazione con la sua compagna, che lo ha inevitabilmente intristito. Nel Vlog Jake annuncia la sua partecipazione al torneo del Dusk Til Down, e ammette che sarebbero andati a supportarlo diversi amici, in caso fosse andato avanti.

Alla fine il torneo Cody lo ha vinto, ed è probabile che la decisione di giocarsi tutto il premio sia una pura e semplice goliardata decisa con gli amici che erano con lui. Non è neanche da escludere che qualcuno degli amici fosse in quota e che dunque sia una decisione collettiva. Cosa più importante di tutte, si tratta di una cifra che in nessun modo sposta, sia nella tasca che nella testa, per il giocatore inglese. Perché nessuno di noi è Jake Cody: non lo siete voi che lo criticate, non lo siete voialtri che lo avete eletto a bullo e non lo sono io che ne scrivo.

Quest’ultimo aspetto è fondamentale, perché è ovvio, sbrigativo e persino ipocrita, raccomandare a tutti voi di NON FARE MAI QUALCOSA DEL GENERE. La verità è che le gamblate bisogna anche potersele permettere. E non solo economicamente.

(Dai, un pokerista non arriverebbe a tanto. O forse sì?)

Le gamblate e il valore di un “violetto”

Nella mia lunga carriera di scriba pokeristico ho visto e raccontato molte storie, ma alcune le ho tenute per me. Nei tempi d’oro del .it ho visto ragazzi di 25 anni giocarsi 500€ alla carta più alta durante le pause di un torneo live. Si trattava di gente che vinceva cifre a 4 e 5 zeri all’anno, cliccando.

Non erano scene edificanti e non per vuoto moralismo. Semplicemente, quei 500€ erano totalmente svuotati di valore, nella considerazione di ragazzi che ne guadagnavano oltre 200 volte tanto in un anno. Sarebbe stato perfettamente inutile provare a parlare con mister X e fargli presente quante cose si possono comprare o quante cose utili si potrebbero fare con 500€. Per loro era semplicemente un violetto, con cui trastullarsi qualche secondo.

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Poiché il denaro non è un fine ma uno strumento, non mi sono mai sentito di condannarli troppo, in quanto il loro gesto era dettato – e per certi versi consentito – dal tenore di vita che il loro winrate consentiva.

Poi ho visto qualcuno di questi cadere in malora e persino truffare qualche amico pro che gli aveva prestato denaro. Ma questa, tutto sommato, è un’altra storia.

Quello che mi preme oggi è parlare del confine tra talento per il gioco e attitudine al gambling, due caratteristiche che spesso – erroneamente – abbiamo creduto non potessero coesistere. Invece lo fanno, eccome se lo fanno!

Una foto di Carlo Savinelli qui ci sta proprio bene. Ma se cliccate sull’immagine capirete anche perché

La “malattia professionale”?

Guadagnarsi da vivere giocando a poker, a un certo livello, significa maneggiare quantitativi di denaro piuttosto alti, rispetto alla media delle persone. Soprattutto, per molti di essi significa maneggiare molto più denaro rispetto a quanto fossero abituati a fare nella loro “vita precedente”.
Ciò porta inevitabilmente a delle “deviazioni” e comporta delle conseguenze. Il fatto di prendere lo stipendio medio di una famiglia italiana e metterlo su “zero e vicini”, o gamblarsi una Panda usata a punto e banco, sono colpi di testa episodici che potremmo catalogare come “patologie professionali”.
Chi fa il rappresentante e passa moltissimo tempo in auto sviluppa più facilmente problemi alla schiena. Buona parte dei DJ, un giorno o l’altro, inizierà a soffrire di acufeni. Analogamente, una parte dei giocatori di poker professionisti ha occasionalmente “bisogno” di bruciare un po’ di soldi.

E non parliamo di casi estremi come Archie Karas, uno al cui confronto la gamblata di Jake Cody sembra una roba da Teletubbies. Un esempio concreto, in questo senso, è sicuramente Phil Ivey. Oltre al baccarat (in cui ha avuto qualche problema a incassare le vincite milionarie) sono famose alcune sue sessioni mozzafiato a Craps, una variante dei dadi molto diffusa negli USA.

Sei questi dadi potessero parlare, direbbero quanti soldi ci hanno buttato Phil Ivey e diversi altri top player

L’altra faccia della medaglia: gli esempi virtuosi

Dopo anni di osservazione – e da un punto di vista privilegiato – di questo microcosmo, posso dirlo con ragionevole certezza. Ma non a caso prima parlavo di “una parte” dei giocatori. Non è scritto che tutti i poker pro sentano ogni tanto l’esigenza di gamblare denaro a caso. Anzi, come in tutte le comunità umane, ci sono esempi di natura completamente opposta.
Pensiamo a REG, l’organizzazione fondata da Philipp Gruissem e Liv Boeree che chiede ai top player una piccola percentuale dei loro guadagni per progetti umanitari.
Rimanendo in Italia mi viene da pensare a Rosario Sgammato, player napoletano che appena può vola in Africa o in Sudamerica per fare volontariato. E che dire di Mayu Roca Uribe, grinder di tornei online che investiva i suoi guadagni in Permacultura?

Forse Rosario Sgammato userebbe quei 60.000$ diversamente da Jake Cody. Ma è sempre questione di scelte.

L’alter ego

Il mondo dei giocatori di poker è così, ragazzi. C’è il sociopatico e il chiacchierone, il simpatico e lo stronzo, l’egomaniaco e il filantropo, l’intellettuale e l’analfabeta, il padre di famiglia e il puttaniere, il calcolatore e il ludopatico.
Ognuno ha le sue peculiarità umane, ma anche una propria idea di gestione del rischio. Ognuno di noi ha una parte più conservativa e una più “risk-friendly”, nella vita di tutti i giorni. Così anche il pokerista deve tenere a bada il “mostro” che ha dentro di sé. Il segreto è sapere quando farlo uscire e quando tenerlo in gabbia, dove non può fare danni.

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