US Open, anche il tennis adotta ufficialmente lo shot clock: ma è un bene o un male?

Domani notte, a Flushing Meadows, inizia una edizione particolre dell’ US Open di tennis. Sarà infatti il primo torneo del Grande Slam che adotta ufficialmente lo shot clock. Dopo alcuni esperimenti, questa innovazione verrà dunque applicata anche a uno sport popolarissimo come il tennis, dopo avere iniziato a rivoluzionare il poker live. Ma è giusto che sia così?

Bottigliette in rigoroso ordine e con l’etichetta sempre da unl lato, per Rafa Nadal

Poker e tennis: differenze e affinità dello shot clock

Nel poker, come avrete letto diverse volte, si è deciso di adottare uno strumento per snellire i tornei ed evitare alcuni eccessi. Ragioni molto simili hanno portato a questa decisione anche nel tennis, per ragioni sia organizzative che televisive.

Per molti versi l’innovazione ha un senso. Che sia di poker o di tennis, un torneo ha un calendario da fare rispettare compresa una durata massima. Nel tennis c’è inoltre il problema dell’ordine di gioco sui vari campi, poiché se un match è programmato per terzo non potrà mai avere inizio, se prima non si concludono i due precedenti. Nei tornei di poker invece il problema principale è quello del gioco effettivo. Spesso è capitato di vedere, a uno stesso torneo live con livelli da 60 minuti, alcuni tavoli in cui si giocavano 40-45 mani all’ora e altri in cui non si superavano le 25-30.

In entrambi i casi ci sono anche ragioni televisive, ovviamente molto più importanti nel tennis che è un prodotto ben più popolare. Nel poker il discorso vale soprattutto per i grandi tornei o quelli in cui c’è almeno un feature table. Tradizionalmente, i tavoli televisivi hanno ritmi molto più lenti degli altri e questo non era un bene per la regolarità del torneo. Con lo shot clock tale problema si chiude definitivamente.

Shot clock, come funziona

Nel poker lo shot clock è applicato dai maggiori circuiti internazionali come WSOP, EPT, WPT ma anche altri, con piccole variazioni. Il tempo concesso al giocatore, per prendere ciascuna decisione, è di 30 secondi. Gli organizzatori, in alcuni circuiti, concedono ai player un certo numero di “timebank”, gettoni da utilizzare per “acquistare” 30 secondi supplementari in caso di necessità.

Nel tennis il limite temporale tra uno scambio e l’altro era inserito già da molto tempo nel “rulebook” della federazione internazionale, ed era quantificato in 25 secondi. Tuttavia raramente veniva rispettato, quindi dalla scorsa stagione si sono svolti diversi esperimenti per applicarlo come limite restrittivo. Ciò significa warning e anche punti di penalità inflitti, nel caso di ripetute violazioni.

Già sperimentato nei tornei giovanili e nelle qualificazioni ad alcnni Slam, lo shot clock da 20 secondi sarà effettivo da questo US Open.

Shot clock, perché sì

Le discussioni sulla necessità di uno shot clock nel tennis iniziarono già diversi anni fa e si accentuarono dopo la finale dell’Australian Open 2012. Novak Djokovic e Rafa Nadal si sfidarono per ben 5 ore e 53 minuti. Ancora oggi è la più lunga finale mai disputata in un torneo del Grande Slam. Nole e Rafa sono però tra i peggiori tennisti al mondo, in quanto a tempo che fanno trascorrere tra la fine di uno scambio e il servizio successivo. Venne infatti calcolato che quella stessa finale, se vi fosse stato applicato lo shot clock, sarebbe durata ben 70 minuti in meno.

In particolare Nadal è famoso per i suoi tic, dall’aggiustarsi le mutande al tirarsi le sopracciglia o aggiustarsi i capelli dietro l’orecchio (prima di un servizio) all’allineare con maniacale precisione le bottigliette degli integratori (durante le pause).

Nel poker, che è un gioco di ragionamento, calcolo e psicologia, non tutti i giocatori hanno la medesima velocità di pensiero e alcuni necessitano di più tempo rispetto ad altri. Tuttavia non è un segreto che molti player ne approfittino e facciano trascorrere deliberatamente il tempo. Nella maggior parte dei casi è una sorta di liturgia, con la scusa di cercare di carpire qualche tell all’avversario di turno. Certo non è il massimo, per chi si trova allo stesso tavolo.

Shot clock, perché no

Sarà una visione un po’ troppo romantica, se volete, ma i tempi morti fanno parte sia del tennis che del poker. Abolirli significa snaturare entrambe le discipline.

In particolare nel tennis ci sono due ordini di problemi. Il primo è rappresentato dalla eccessiva discrezionalità con cui lo shot clock viene utilizzato. Infatti è il giudice di sedia a farlo partire e ciò implica necessariamente che non ci siano trattamenti identici nei diversi match. Magari alcuni giudici tendono a essere più elastici facendo trascorrere qualche secondo, altri lo fanno partire immediatamente dopo che il punto è stato assegnato, e così via.

Inoltre nel tennis c’è un gigantesco problema dato dalla natura stessa della competizione sportiva. Non tutti gli scambi sono uguali, nè tutti i momenti del match lo sono. Dunque, che lo stesso shot clock valga dopo un ace al terzo game del primo set o dopo uno scambio massacrante al settimo gioco del quinto, è cosa quantomeno discutibile.

La questione del “momentum” è fondamentale anche nel poker. Prendersi qualche minuto dopo una bet al river del primo livello di un torneo è assolutamente evitabile. Molto più comprensibile è invece dare adeguato modo di riflettere in bolla di un torneo importante, o magari su un allin di un tavolo finale che sposta cifre importanti. Anche qui, il fatto che alcuni ne abusino rischia di incidere negativamente sulle esigenze della collettività.

L’influenza della TV e la cultura dell’highlight

Parliamoci chiaro: se tra i più grandi “perditori di tempo” non ci fossero stati Nadal e Djokovic ma – che ne so – Struff e Kokkinakis, è molto probabile che lo shot clock sarebbe ancora oggi nella wish list delle principali organizzazioni. Il fatto che invece due top player, che occupano buona parte degli spazi televisivi concessi al tennis, siano dei pessimi esempi, ha certo accelerato l’iter del provvedimento.

Nel poker invece lo shot clock è qualcosa che trova un’approvazione pressoché unanime, ma la pressione delle esigenze mediatiche ha avuto il suo peso. D’altra parte il pubblico del poker è nato e si è nutrito di show come le varie trasmissioni sul poker fin da metà degli anni 2000, che erano sempre delle robuste sintesi. Nell’arco di 45 minuti o un’ora guardavamo i tavoli finali di EPT o WPT con le mani decisive incalzare una dopo l’altra, ma era tutto frutto di un ovvio e sapiente montaggio.

Andrea Borea con Dario Minieri durante un commento a un EPT Live. Anno del Signore 2009.

Con l’avvento dei live streaming abbiamo imparato a convivere anche con i tempi morti del poker. Quante volte siete stati ore  e ore collegati con gli streaming EPT e IPT commentati da Andrea Borea? L’amico “Topkapias”, con i partner che si sono susseguiti, è diventato maestro nell’arte del far trascorrere il tempo in uno spettacolo che sicuramente non è semplice da seguire e raccontare nella sua interezza. Ma il vero poker è qualcosa che somiglia molto di più a questo, piuttosto che ai vari – e pur sempre rimpianti – “Poker1mania”.

Così anche nel tennis, quello del traccheggiare tra uno scambio e l’altro è un piccolo abuso, una liturgia che il pubblico presente ha sempre saputo accettare di buon grado. Quello televisivo invece si annoiava a morte. E oggi, chi sta sul divano a cliccare, incide molto di più.

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