Poker & Pop Culture, in uscita a giugno il racconto della storia del poker nella cultura americana

Con ogni probabilità sarà uno dei più interessanti libri di poker mai scritti: a giugno farà il suo esordio mondiale Poker & Pop Culture, il nuovo lavoro di Martin Harris, scrittore e reporter di lunga data dai casinò di tutto il mondo. Il suo intento? Trasportare il lettore in un viaggio che parte dai saloon del diciannovesimo secolo e arriva alla svolta mainstream dei tavoli verdi virtuali di oggi, mettendo in risalto quanto il poker sia stato importante nella storia del Paese a stelle e strisce, influenzandone la cultura a tutto tondo.

Infatti, oltre ai capitoli che raccontano quello che succedeva sulle sponde del Mississipi ai tempi del vecchio West, o durante la Guerra Civile, e poi nelle epoche successive all’interno dei club e dei casinò, il libro descrive nei minimi dettagli il modo in cui il poker si è ritagliato il suo spazio da protagonista sul grande e sul piccolo schermo, nelle riviste, nella letteratura, nella musica e nella pittura. E parimenti, in mondi a primo acchito così distanti come quello politico, degli affari o dello sport, solo per fare qualche esempio.

Oggi abbiamo una grande fortuna: quella di capire subito cosa ci aspetta attraverso un estratto del capitolo “Il poker nella musica“. Eccolo, in una nostra personale traduzione italiana (non sappiamo ancora se e quando ce ne sarà una ufficiale).

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“L’espressione era ‘Fading the white line‘, ovvero sbiadire la linea bianca, quella centrale, delle strade: era quello che metaforicamente facevano i pokeristi della metà del ventesimo secolo, quelli che si spostavano di città in città alla ricerca di sale dove giocare. Doyle Brunson, Thomas “Amarillo Slim” Preston e Sailor Roberts erano i più famosi, veri e propri giocatori d’azzardo di strada, che spesso viaggiavano insieme da un posto all’altro facendo cassa comune e con gli occhi sempre ben aperti al fine di evitare contatti di sorta con le forze dell’ordine.

Quella stessa espressione potrebbe essere utilizzata per descrivere anche molte band che viaggiavano in lungo e in largo gli States negli anni ’60 e ’70, un periodo durante il quale molti artisti folk, blues e rock usavano il poker, la frontiera americana e le avventure che vivevano in tournée come fonte di ispirazione per le loro canzoni.

Bo Diddley, il pioniere del blues-rock, si è ispirato a numerosi temi western per il suo eclettico album del 1960, Bo Diddley Is a Gunslinger (Bo Diddley è un pistolero, ndr). Nella canzone Cheyenne, in particolare, racconta di un burbero cowboy che deve difendersi da un giocatore che vuole batterlo a suon di inganni e bluff.

Nelle sue canzoni, anche il leggendario Bob Dylan cantò la combinazione Vecchio West-Poker. In Rambling, Gambling Willie, registrata nel 1962 e diventata un outtake (canzone non inclusa nella versione definitiva di un’opera) dell’album The Freewheelin‘ Bob Dylan, cioè Bob Dylan a ruota libera, il Menestrello di Duluth sintetizza la storia del poker in America cantando la storia di Will O’Conley, un veterano del gioco, e le sue avventure tra il Mississipi e le montagne del Colorado passando anche per la Casa Bianca. Non solo: nella canzone, Will muore giocando. E quella mano diventa la più famosa del poker, grazie a una prodigiosa striscia vincente che si conclude con un colpo alla testa sparato da un giocatore a cui Willie aveva sottratto tutti i soldi.

Nel 1966 il singolo della star di Bonanza Lorne Greene, Five Card Stud, scritto dal musicista Wally Gold (compositore anche della celebre It’s my party, cantata dalle Chiffons), racconta un’altra storia di poker con un altro colpo di scena finale: un misterioso sconosciuto entra in un saloon e si unisce a una partita di poker ma stranamente, prima di andarsene, folda una mano da tre assi contro i tre re dell’avversario. Il motivo? Si accorge che stava giocando contro il figlio.

Nel 1971, invece, il leader dei Grateful Dead, Jerry Garcia, apre il suo album solista omonimo con Deal, una canzone che parla di un giocatore d’azzardo il quale, sulla base dell’esperienza e dei tanti imbrogli messi in scena in carriera, consigliava all’ascoltatore di osservare con molta attenzione la distribuzione delle carte e di giocare in maniera altrettanto accorta.

Nello stesso anno, poi, l’artista folk-blues Townes Van Zandt registra l’epica Mr. Mudd & Mr. Gold per il suo album High, low and in between. È una canzone surreale, che racconta una mano di Five-card stud tra i due personaggi del titolo: qui le carte dei giocatori sono personificate come stessero conducendo una battaglia apocalittica, con i quattro malvagi re di Mr. Gold che alla fine cedono ai quattro assi angelici di Mr. Mudd.

Gli Eagles sono stati tra i dominatori della scena soft-rock negli anni ’70. Ma è con il loro secondo LP, Desperado (1973), che insieme a storie western cominciano a parlare di poker. E lo fanno proprio nella canzone che dà il titolo all’album: racconta di un cowboy stanco, che gioca a carte e le cui tribolazioni sembrano una similitudine con quelle di una band stremata dai viaggi sulla strada. Un’altra traccia dello stesso disco, Out of Control, rimanda ancora più direttamente al poker: l’ambiente è quello di un saloon, dove un cowboy si ritrova a dover pesare i rischi portati sia dalla mano che si ritrova a giocare sia dalla barista civettuola.

Ma quello degli Eagles e del poker non è un binomio casuale, dato che i componenti della band americana erano appassionatissimi giocatori. Quando non erano in tournée, ad esempio, il cantante e chitarrista Glenn Frey ospitava settimanalmente partite nella sua casa di Laurel Canyon, Los Angeles, ribattezzata Kirkwood Casino (tra i frequentatori abituali c’era anche la cantautrice Joni Mitchell, la cui Song for Sharon – dal suo album del 1976, Hejira – conteneva un riferimento alla sua capacità di rimanere fredda al tavolo, diversamente da quanto sperimentava nella vita privata). In una delle tante serate, Frey si inventò una nuova variante di gioco, ribattezzata Eagle Poker e apparsa nel film del 2000 Almost Famous: in sostanza, i giocatori dovevano scommettere sul fatto che il valore di una terza carta sarebbe stato compreso (oppure no) tra quello di due altre carte già distribuite.

Anche i Grand Funk Railroad, gruppo rock di Flint, Michigan, riscossero grande successo in quel periodo. In particolare con il loro primo singolo, We’re An American Band, title track del loro album del 1973, che riuscì a occupare la prima posizione nelle classifiche del noto settimanale musicale Billboard. La canzone (autobiografica), scritta e cantata dal batterista Don Brewer, racconta episodi di strada, tra cui mega sbronze e feste con groupie. Brewer fa riferimento anche alla passione di Freddie King, chitarrista blues che apriva i concerti per la band durante il tour dell’anno precedente: “King giocherebbe a poker ogni notte nella sua stanza con la sua band per prendersi tutti i soldi”.

Poker & Pop Culture sarà disponibile in tre formati: edizione cartacea economica, e-book digitale e audiolibro. L’uscita, come anticipavamo, è prevista per i primi di giugno, ma è già disponibile in prevendita su D&B Poker, la casa editrice leader nel poker creata da Dan Addelman e Byron Jacobs 15 anni fa, nel momento in cui è iniziato il boom del poker online. Tra gli altri, vanta libri firmati da Phil Hellmuth, Jonathan Little , Mike Sexton, Chris Moorman, Lance Bradley, Alexander Fitzgerald, la Dr. Patricia Cardner e molti altri ancora.

Buona lettura!

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