Pressione, paure, dubbi e incertezze: ecco come ottenere performance superiori secondo il poker mind coach Elliott Roe

Ha scalato senza alcuna (alcuna!) attrezzatura El Capitan, il monolite di 2.307 metri che svetta sul Parco Nazionale Yosemite, in California, affidandosi “semplicemente” alla sua abilità di trovare minuscoli appigli e piccole fessure create dal tempo su quella parete verticale. Una vera e propria impresa quella del 33enne Alex Honnold, l’alpinista statunitense re degli arrampicatori in solitaria – senza alcuna assicurazione – documentata in Free Solo, il film di Jimmy Chin ed Elizabeth Chai Vasarhelyi, vincitore dell’Oscar 2019 nella categoria documentari.

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Ma cosa c’entra questa sfida quasi impossibile con il poker?

C’entra, eccome: secondo Elliot Roe, poker mind coach e allenatore di super pro come Fedor Holz e Matt Berkey, nonostante il contesto differente, la pressione, la paura, il dubbio e le difficoltà emotive di quell’impresa sono le stesse che si vivono al tavolo verde. Andiamo a capire meglio qual è il suo punto di vista su questi aspetti così centrali quando si tratta di produrre prestazioni sopra la media.

untitled-design.pngFedor Holz (sx) con il suo mind coach Elliot Roe (dx)

Qual è la più grande difficoltà mentale che i giocatori di poker devono affrontare?

La più comune è l’ansia. Non sono da meno, però, l’auto-sabotaggio, l’incapacità di trovare e mantenere il focus, la mancanza di professionalità e la paura del successo. Insomma, le difficoltà tipiche degli sport individuali, che pongono il problema della prestazione del singolo sotto condizioni di forte pressione psicologica. È proprio in quelle situazioni che avere un mindset corretto, da vero professionista, è essenziale: si tratta infatti dell’elemento che consente di esprimere quello che si è grado di fare nel modo migliore e nel momento più appropriato“.

Come si può sviluppare?

“Quando ho iniziato la mia carriera di poker mind coach, all’incirca nove anni fa, ho trovato una situazione un po’ amatoriale, dove molti giocatori erano davvero poco professionali: bevevano durante le partite, fumavano sostanze stupefacenti, non si allenavano, non dormivano correttamente, studiavano appena un paio d’ore a settimana. Il contrario di quello che penso sia opportuno: per me l’espressione mentalità professionale si traduce anche in uno stile di vita che aiuti a raggiungere livelli di focus e attenzione efficaci per almeno 10 ore di gioco”.

È necessario studiare? Se sì, quanto?

“Certo, è necessario, e a mio avviso c’è anche una soglia minima accettabile, che è di almeno sette ore a settimana. Il giocatore professionista deve capire che è un pro, e che in quanto tale ha a che fare con altri che, come lui, giocano per migliaia, centinaia di migliaia e a volte milioni di dollari”.

La visualizzazione: quanto è importante?

“Faccio fare moltissima visualizzazione ai miei clienti. Questo perché, quando si trovano in situazioni di gioco complesse, hanno l’impressione di aver già vissuto quel contesto. Così le reazioni sono più immediate ed efficaci. Quando ci vediamo li spingo a porsi domande adeguate e a darsi le relative risposte. Qualche esempio? Come posso sentirmi nel momento in cui mi trovo a vivere una bad beat in un final table? Come potrei sentirmi nel momento in cui perdo il 75% del mio stack? In che modo posso riuscire a sopportare mentalmente un heads-up di due ore? Per chi fa paracadutismo, saltare da un aereo non è un problema. Anzi, è qualcosa di assolutamente normale, banale day-by-day. A parer mio, quello che un professionista deve fare, è costruire una mentalità grazie alla quale esprimere il meglio quando si trova sotto pressione. Il che non significa in momenti eccezionali, ma abitualmente. L’elemento su cui porre l’attenzione è la performance, in qualsiasi momento sia richiesta”.

Come nascono fiducia e sicurezza?

“Fiducia e sicurezza derivano dall’aver fatti i compiti a casa. I momenti di forte ansia derivano dall’insicurezza, provengono dal sapere che si sta tirando a indovinare: essere coscienti di cosa si deve fare e come è meglio reagire, invece, aiuta a sgonfiare la pressione. In definitiva, il livello di preparazione ha un impatto decisivo sul livello di energia emotiva e sul suo uso”.

pca-pspc-2019-matt-berkey-monti-8796.jpgAnche lo specialista di cash game high stakes Matt Berkey è uno dei clienti di Elliot Roe

Cosa si dovrebbe fare nei momenti di difficoltà?

“Anzitutto diventare consapevoli dei trigger che mettono fuori gioco la mente. In secondo luogo, lavorarci su. Per fare un esempio, se ti rendi conto che sei un giocatore che soffre le tribet, prova a capire perché ti destabilizzano. Esplora a fondo la difficoltà. Un altro esempio: se la pressione che ti procurano i soldi in ballo quando sei vicino a un final table è molto forte e diventi esageratamente nervoso, chiediti: perché questa situazione è un problema per me? Come posso risolverlo? Un lavoro terapeutico adeguato permette di superare questi stati mentali complessi: è molto importante, infatti, capire a livello profondo il motivo per cui si sta sperimentando quello specifico comportamento. E, successivamente, lavorare sul ricordo delle situazioni che lo hanno creato”.

Capitolo downswing: come si superano?

“I giocatori dicono: ‘Sono in un downswing‘. Non sono d’accordo. Quello che direi loro è: ‘Nelle partite precedenti hai perso. Adesso, invece, stai giocando, e i casi sono due: puoi vincere, oppure perdere. Ma ricorda bene che i risultati di ogni partita sono indipendenti: l’esito delle decisioni che prendi ora dipende esclusivamente da come giochi in questo momento le carte che ti vengono date.’ Spesso, infatti, quando si attraversa un periodo di downswing, emerge la tendenza a modificare il proprio modo di giocare. Succede anche inconsapevolmente, senza rendersene conto: si perde la fiducia nella strategia, si prova a gestire la varianza e, conseguentemente, la profittabilità si riduce. Insomma, non si gioca più come prima, e con ogni probabilità questo produrrà un allungamento del periodo di downswing. Quello che cerco di fare, allora, è riportare il giocatore alla mentalità che metteva in campo prima che cominciasse il periodo negativo. Alla fin fine, quello che è davvero importante è saper gestire il bankroll in maniera efficiente”.

E dopo aver giocato per ore e ore? Cosa è opportuno fare?

“Raccomando caldamente la meditazione. Questo perché è uno strumento che aiuta a lasciare sul tavolo verde il cattivo umore o la sovreccitazione. Ma questo non vale solo per il dopo: il mio obiettivo, infatti, è preparare i giocatori alla sessione di gioco, così che possano essere nelle condizioni emotive più idonee a sedersi ed esprimere il massimo delle loro potenzialità. Il giocatore si deve occupare solo di quello che accade al tavolo, accettando il fatto che il poker è un gioco a lungo termine. Finita la partita si torna alla vita normale, e alla preparazione dell’appuntamento successivo“.

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Un ultimo consiglio?

“Vorrei sottolineare nuovamente che la visualizzazione, lo studio e la preparazione a qualsiasi follia possa verificarsi in partita sono fondamentali. Questi elementi, insieme, consentono di superare quel grande enigma rappresentato dalla matematica. In fondo, il poker è proprio questo: un puzzle matematico”.

Sei interessato ai servizi del poker mind coach Elliot Roe? Visita il suo sito web, www.pokermindcoach.com. Oppure scopri Primed Mind, l’app sviluppata con la collaborazione di Fedor Holz.

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