Simone per gli amici, “VKingPlays” per oltre 10.000 follower su Twitch. Succede a chi trasforma la propria passione per i videogame in un lavoro vero e proprio. La figura del giocatore professionista è ben nota nel poker, un po’ meno negli e-sport, eppure anche lì ci sono tornei milionari e sponsorizzazioni.
Abruzzese di origine, vive a Bologna “ma penso di trasferirmi presto a Milano per lavoro“. “VKingPlays” è un professional player non convenzionale che ha trovato la sua strada a metà fra le partite giocate e ciò che vi ruota intorno. In questa intervista, realizzata in occasione della sua partecipazione a Hearts & Spades, spazia a tutto campo, dal nuovo progetto con Luca Pagano alla scena videoludica italiana, passando per la sua esperienza col poker e il mondo di Hearthstone.
Simone Larivera
Si può vivere di e-sport?
È un discorso un po’ complicato. Si, riesco a mantenermi con quello che faccio in generale. Se dipendesse solo dal gioco, no. L’Italia non è ancora il paese adatto a questo tipo di carriera. Con Luca Pagano sto intraprendendo un progetto che, magari tra qualche anno, potrà consentire a qualcuno di vivere giocando gli e-sport.
Quindi non giochi e basta?
Parte del mio lavoro consiste nella gestione e creazione di eventi. Andrò a lavorare per Tom’s Hardware, spero di poter mettere a frutto le mie qualità per la gestione e la creazione di attività, e sono sicuro di incontrare tante persone che potranno aiutarmi a migliorare. In questo modo, coniugando le partite giocate a un lavoro più convenzionale, si può arrivare a prendere uno stipendio, modesto, in Italia.
E il tuo progetto con Luca?
Abbiamo creato un team che punta a diventare una multigaming. Vogliamo espanderci oltre i confini nazionali, per ora è un progetto italiano. Il nome del team è QLASH. Abbiamo già il merchandising e siamo in contatto con alcuni giocatori. Uno dei giocatori che faranno parte del team salterà fuori proprio da Hearts & Spades. Il progetto con Luca è Ambizioso e fattibile, sarebbe bello se un giorno gli e-sport avessero un’immagine autorevole alla pari di calcio, basket e altri sport diffusi in Italia.
Qual è il problema in Italia?
In Italia non siamo pronti, siamo indietro. Adesso il nerd è visto come una persona che perde tempo perché gioca, l’approccio giusto sarebbe puntare a vincere e mettersi in competizione, puntare ai grandi premi in palio negli eventi importanti, allenandosi per migliorare sia l’aspetto mentale che fisico del player.
Qualcuno dice che non c’è bisogno di fare attività fisica se si sta tutto il tempo seduti…
Tenere in forma il fisico per alcuni degli e-sport (non per HearthStone) è assolutamente necessario. Per esempio, negli sparatutto in prima persona può essere la reattività a fare la differenza. La forma fisica è un aspetto spesso sottovalutato in questo ambiente, così come l’autodisciplina: ci sono momenti in cui è meglio staccare. Un altro falso mito da sfatare è quello del giocatore solitario, che si chiude in camera. Di recente ho sentito parlare di Bolla Elettronica, come se fosse una bolla di vetro all’interno della quale si chiude il giocatore. L’e-sport ha bisogno del lavoro di squadra. Prendiamo OverWatch: serve coordinazione e comunicazione con gli altri giocatori. Non è solo talento in partita a fare la differenza, il risultato dipende anche dalla capacità di socializzazione: devi andare d’accordo con altre 5 persone che non conosci e con le quali non hai mai giocato. Anche nei giochi dove si gareggia da soli è importante socializzare, non solo per confrontarsi, ma anche perché a volte bisogna formare squadre più o meno grandi. Senza i miei compagni non sarei passato al Day 2 dell’Hearts & Spades Invitational.
Perché?
Sono passato fra i migliori 32 di un torneo molto strano: le partite sono state disputate a poche ore dall’uscita della nuova espansione. Abbiamo provato due mazzi al volo, per due ore, due ore intensissime di brainstorming dove si cercava di trovare una soluzione. Due ore di esperimenti folli che per ora hanno fruttato. Tutto molto bello e divertente, sia il torneo che il nuovo metagame.
Quando hai iniziato con i videogame?
Gioco da quando avevo 5-6 anni.
Ricordi la tua prima partita in multiplayer?
La mia prima partita in multiplayer credo sia stata a Warcraft II, non saprei dire l’anno, oppure ad Age of Empires 2.
Appassionato di strategici?
Sono passato per diversi generi, sempre a livelli alti. Sono stato nella nazionale di Medal Of Honor, a quei tempi non c’era un sistema sviluppato per selezionare i giocatori: c’erano i migliori giocatori di tutte le squadre professionistiche. Sono passato dagli sparatutto ai giochi di strategia, nella top 10 dei miei titoli preferiti inserisco sicuramente Age Of Mythology, Age Of Empires e Heroes of Newherth (cugino di LoL/Dota, un po’ più skill intensive).
La passione per Hearthstone come è nata?
Per caso: nel giocare a Diablo ho beccato alcune pubblicità. Non avevo mai giocato a niente di carte in precedenza se non Pokemon su Game Boy. Come meccaniche non è così complicato: la Blizzard è stata capace di rendere il gioco accessibile a tutti ma per diventare un maestro ci vuole un po’ più di tempo.
Ti pongo davanti a qualche bivio storico per i videogamer: Quake o Unreal?
Quake III ha un posto speciale, a livello affettivo è sopra.
PES o FIFA?
Ho smesso di giocare ai giochi di calcio quando c’era ancora ISS Pro Evolution. Andiamo su PES ma ho la certezza che oggi FIFA l’ha sorpassato sotto tutti i punti di vista. Anche qui è un voto affettivo.
Age Of Empires o Starcraft?
Age Of Empires.
Il tuo gioco di ruolo preferito qual è stato?
Final Fantasy.
Come e quando hai conosciuto il poker?
Ho imparato intorno ai 16 anni. A metà e metà. Parte della mia famiglia è australiana, lì si gioca a poker come da noi si beve l’acqua. Sono venuti a trovarmi dei parenti dall’Australia e mi hanno insegnato a giocare, il resto è avvenuto online: prima giochi gratuiti, poi sulle varie poker room.
Che approccio hai avuto col poker online?
Intorno ai 20-21 anni ho provato a giocare seriamente, e ho provato a diventare Supernova. Per qualche mese ci sono riuscito ma non c’era passione vera come quella che mi prende per Hearthstone. Non avendo un solido bankroll, ho dovuto fare questa scalata partendo dai tavoli dai microlimiti. Nell’arco di qualche mese sono riuscito a mettere da parte un gruzzoletto da reinvestire su PokerStars ma per tenerlo vivo dovevo giocare 16-24 tavoli per circa 13 ore al giorno. Dopo un po’, come esperienza è diventata un po’ alienante. Belli i soldi, bello tutto, ma non era proprio la mia strada. Comunque non ho mai mollato del tutto.
Cosa giocavi?
Un po’ tutto, la maggior parte erano sit and go ma ho giocato anche tornei.
Cosa ti piace del poker?
Non è un gioco preciso come gli scacchi: non vince al 99% il migliore ma c’è una possibilità abbastanza alta che vinca il giocatore migliore. Nel poker ci sono diversi fattori da tenere in considerazione, non è tutto skill based ma ce n’è abbastanza per far venire fuori il più bravo nel lungo periodo. Come su Hearthstone, questo fattore rende uniche tutte le partite.
Cosa ti piace di Hearthstone?
Nel poker, turn e river possono ribaltare gli equilibri, su Hearthstone ci sono una miriade di occasioni dove il generatore di numeri casuali può determinare la tua sorte. Al Poker puoi avere l’1% di perdere al river. Su Hearthstone, carte come Yogg-Saron potevano stravolgere una partita. Adesso hanno limato questi aspetti, ma direi che c’è più varianza a Hearthstone che nel poker. Ti faccio un esempio: “Adel”, vincitore del mondiale, che ho conosciuto anche al DreamHack, ha fatto 0-3 al Main Event e 0-2 al Side Event, è andato via con uno 0-5. È il campione del mondo! Avrà avuto delle sfortune giganti. Per fare risultato su Hearthstone devi tentare, tentare, tentare. Le decisioni ti aiutano fino a una certa, poi devi sperare nella sorte. Il giocatore che fa la scelta migliore, nel lungo periodo, sarà premiato.
Cosa hanno in comune Hearthstone e poker?
Anche in Hearthstone mi piace che la partita sia indimenticabile: tutte le volte c’è qualcosa che rende speciale e frizzante l’esperienza di gioco. Mi piace che sia accessibile a tutti ma che non sia facile diventare un pro del gioco. Mi piace che siano giochi sempre verdi: nonostante sia da 3 anni sul campo è palese che Hearthstone è un progetto nuovo, e ci giocheranno per anni. Ci sono due estremi: gli scacchi e il lancio dei dadi. Poker e Hearthstone si piazzano a metà fra le due cose, sono il giusto mix!
Come funzionano le sponsorizzazioni nel mondo degli e-sport?
Ci sono diversi tipi di sponsorizzazione che passano dalle ditte di hardware e software, o brand addirittura più grandi, come Samsung che sponsorizza a destra e manca. Quasi tutte le sponsorizzazioni sono in ambito tecnologico. Una pubblicità mandata in TV colpisce un range che va dai 3 ai 99 anni con qualsiasi interesse, chi segue i tornei di Hearthstone, poker e videogame in generale, ha interessi specifici. Il pubblico è estremamente focalizzato. Basta guardare le percentuali di acquisto nel mio canale, sono tantissimi i follower che sono disposti a mettere mano al portafogli. Funziona su quasi tutto. È una specie di miniera d’oro. Le altre sponsorizzazioni sono gli eventi. Io trasmetto le parte e mi pagano per questo altrimenti perderei soldi saltando i miei programmi. Si guadagna con le fiere. Devi avere un certo numero di follower e devi anche portare un po’ di gente.
Qual è stato il picco di spettatori che hai raggiunto Twitch?
1.380.
Cosa si prova a giocare davanti a un pubblico di oltre 1.000 persone?
Una bella soddisfazione. Io punto molto in alto. Mi rendo conto di quali sono i numeri reali per campare di questa cosa. Sono contentissimo quando vedo 1.300 persone sul mio canale, anche se di media ne abbiamo 800, ma penso sempre che non basta. Questa cosa però è esponenziale: quando arrivi a fare i numeri per campare su Twitch, anziché ricevere il rimborso dell’albergo, il tuo compenso comincia a crescere.
Secondo te qual è la carta da tenere d’occhio nella nuova espansione?
Una carta che all’utente medio probabilmente sfugge è il pirata 1/1 con carica, “Patches The Pirate”. Ha un effetto molto figo: entra il gioco dal deck appena giochi un pirata. Se cali un pirata al primo turno, questa carta ti potrà aiutare dall’inizio. È molto, molto fastidiosa: mentre l’avversario si sta preoccupando di risolvere la situazione, nel frattempo abilita delle sinergie (es. se hai un pirata in campo fai questo). Pensa che, se ve ne fosse la possibilità su Hearthstone (al contrario di Magic), giocare mazzi aggressivi con 15 carte anziché 30, sarebbe una cosa che i player farebbero subito, perché meno carte hai nel deck e più è facile ideare, costruire e realizzare la strategia di gioco. Avere una carta che tu non paghi e che esce sola dal tuo mazzo, ti consente a priori di giocare con 29 carte. Dopo pescherai comunque la tua carta, e sarà sicuramente migliore di un servitore 1/1 con carica J
Qual è la tua carta preferita?
Dr. Boom sarebbe scontato ma Wild non la gioco mai. Cavolo, sai che è veramente difficile? Una delle mie preferite è Sapp del Rouge perché consente di strutturare i turni avanti in un certo modo. Prima o poi l’avversario deve giocare una determinata carta, e tu con Sapp sei pronto a punirlo.
E il tuo eroe preferito?
Uno degli svantaggi di essere un pro è che devi conoscere tutte le classi come si deve. Penso il ladro comunque.
Se potessi bannare un eroe in un torneo, quale banneresti?
Fino all’uscita della nuova espansione ho bannato sempre Warrior. Il guerriero è il classico mazzo che sfonda subito, serve un po’ di tempo per capire come contrastarlo. È un mazzo aggressivo che punta sulla mancanza di risposte dell’avversario. Se nel tuo deck c’è qualcosa di sbagliato, questo è un mazzo che ne approfitta al 100%. L’ignoranza fatta mazzo.
Qual è stata l’emozione più grande che gli e-sport ti hanno regalato?
Gli ultimi eventi, compresi quelli di Hearts & Spades. Questa scena italiana che finalmente cresce e viene fuori, i player che competono sotto lo stesso tetto. Manca un po’ di semina, un po’ di investimento dall’alto. Anche andare al Dream Hack in veste di giocatore professionista, quindi non a spese mie, è stato un grande onore e mi è servito molto.
Cosa serve alla scena italiana?
È necessario un cambio di prospettiva da parte degli italiani su come vedono chi intraprende questa carriera. Mi pare l’unico punto da risanare, anche perché non c’è molto di diverso dal reale.
Hai mai pensato a diventare un professional poker player?
Mi piacerebbe, lo farei volentieri. Per iniziare questo progetto con Luca, mi fece il grande onore di ospitarmi durante l’IPT di Saint Vincent. Lì c’erano dei tornei assurdi da oltre €2.000. Se non fosse stato un problema di disponibilità economica, mi sarei sicuramente cimentato. Ero davvero presissimo. Ci proverò, prima o poi.
Gianvito Rubino per PokerStars.it
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