Scott Blumstein, la consapevolezza del chipleader: “Il Main è speciale, ma è solo un torneo”

Non sarà la prima volta, e nemmeno l’ultima, che lo Scott Blumstein di turno si presenti al tavolo finale del Main Event WSOP da chip leader. Scott è l’identikit del giocatore medio: preparato, appassionato, ma pressoché sconosciuto se non nell’orticello di casa sua.

Diciamoci la verità: il bello del poker è anche, forse soprattutto questo. La possibilità che qualsiasi fan del Texas Hold’em, con un po’ di bravura e di fortuna, possa arrivare a giocarsi una cifra che sfonda gli 8 milioni di dollari.

Scott Blumstein

Scott Blumstein

Scott Blumstein, dalla East Coast a Las Vegas

Sarà pur vero, come ha dichiarato, che non esiste posto più difficile della East Coast per giocare a poker. Ma prima di quest’estate, Scott Blumstein non aveva mai messo piede a Las Vegas. Un conto è giocare nel circolo sotto casa, un conto è presentarsi nella Sin City da ‘verginello’ totale.

L’americano gioca a poker da professionista da circa quattro anni, ma senza il colpaccio al Borgata, che gli ha permesso di vincere quasi 200.000 dollari (a fronte di un buy-in di 560), forse a Las Vegas non ci sarebbe arrivato neppure quest’anno.

“Non ho mai avuto un lavoro vero”, racconta Blumstein. “Sembra scontato, ma ho cominciato a seguire il poker e a giocare quando Chris Moneymaker ha vinto (il Main Event WSOP 2003, ndr). Ero solo un ragazzo”.

Sarà l’estate perfetta, per questo venticinquenne laureato in contabilità alla Temple University? “Mi disse che avrebbe saltato tutte le WSOP 2017”, racconta l’amico Chris Horter, “ma che avrebbe vinto il Main Event.

La filosofia di Blumstein

Per un ragazzo come Scott Blumstein, non certo abituato a palcoscenici del genere, non è facile avere tutta questa attenzione mediatica: “Essere qui e giocare sotto i riflettori è qualcosa di surreale. Sono arrivato per la prima volta al feature table nel Day 7. Ho dovuto abituarmi alle luci e alle telecamere, ma ce l’ho fatta abbastanza in fretta per potermi concentrare solo sul poker”.

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Il Blumstein-pensiero è molto chiaro: “Alla fine, un torneo è solamente un torneo: è solo poker”. Certo, il Main Event forse qualcosa in più degli altri tornei ce l’ha: “Tutti i tornei sono difficili. Ma questo è il Main Event, ed è speciale”.

Niente  panico, comunque, anche se quest’anno di tempo per prepararsi al final table non ce n’è molto: “È pazzesco avere solo pochi giorni di pausa. Sarà molto diverso dagli ultimi anni. Non ho pianificato nulla. Non puoi pianificare una cosa del genere. Mi sento benissimo. Non riesco a credere che sia vero”.

La mano del destino

Per superare oltre 7.000 giocatori e arrivare al tavolo finale del Main Event WSOP 2017, Scott Blumstein è dovuto passare gioco-forza attraverso numerosi colpi decisivi. Ma il più importante forse è capitato durante il Day 6, contro Valentin Messina.

“Ho rilanciato da UTG”, ricorda Scott, “e lui ha chiamato. Il flop era J-4-2. Ho flopato un set e ho puntato. Lui ha fatto call. Sul turn, un 6, ho fatto check e Messina ha puntato più di un milione. Ovviamente io ho chiamato.

Al river, un 3, facendo di nuovo check ho rischiato, ma ero sicuro che lui avrebbe puntato di nuovo, e lo ha fatto. Ha puntato quasi 3 milioni e io ho rilanciato a 7,2. Mi è sembrato che ci mettesse una vita prima di chiamare. Ma alla fine lo ha fatto”.

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