Avvocato Giulio Coraggio su ban pubblicità: “concessionari discriminati, decreto incostituzionale, il divieto rende impossibile l’offerta in Italia, ricorsi e risarcimenti possibili”

Il ban della pubblicità dei giochi, “assoluto e totale” come lo ha presentato il Movimento 5 Stelle che vende questo divieto come la fine di tutti i mali, in realtà colpirà solamente il gioco online (come ha ammesso lo stesso Luigi Di Maio), ovvero il 5% della spesa nel gaming degli italiani. Alla faccia della lotta alla ludopatia, siamo di fronte al solito provvedimento propagandistico ma che rischia di creare seri danni al mercato legale del gaming online italiano, mentre tutti gli altri giochi continueranno a proliferare nella rete terrestre, ora più che mai, considerando che un temibile concorrente (l’online) verrà oscurato.

L’Avvocato Giulio Coraggio

Il divieto entrerà in vigore subito – ha fatto sapere ieri il M5S – con l’approvazione del Decreto “Dignità” e riguarderà“ qualsiasi forma di pubblicità, anche indiretta, relativa a giochi o scommesse con vincite di denaro” e  “qualunque mezzo, incluse le manifestazioni sportive, culturali o artistiche, le trasmissioni televisive o radiofoniche, la stampa quotidiana e periodica, le pubblicazioni in genere, le affissioni e internet”. Dall’ 1 gennaio il ban concerne anche le sponsorizzazioni sportive.

In ballo non c’è solo un miliardo di euro di gettito ma molto di più, come il futuro dei concessionari e migliaia di posti di lavoro, e ripetiamo che questo provvedimento appare del tutto inutile perché non va a tutelare un bel nulla (riguarda solo il 5% della spesa dei giocatori italiani).

Gli operatori, per primi, impossibilitati di fare pubblicità in qualsiasi canale e quindi di raccogliere gioco potrebbero rinunciare alle concessioni e chiedere danni allo Stato dopo anni di investimenti milionari. Che ne sarà del mercato legale? Abbiamo contattato l’esperto Avvocato Giulio Coraggio, affiancato dal collega Vincenzo Giuffrè, partner di uno degli studi più prestigiosi a livello internazionale, DLA Piper. 

Il legale ci spiega che  il decreto è incostituzionale per varie ragioni: mancano le coperture finanziarie ed inoltre va a ledere l’articolo 41 della costituzione (libertà di impresa). Ma vi sono chiarissime violazioni anche dei principi contenuti nei Trattati Europei. Per il legale il ban totale annulla l’offerta, di fatto trasformandosi così in divieto assoluto al gioco e non solo ai messaggi pubblicitari.

Avvocato, dal suo punto di vista, con il ban della pubblicità totale ed assoluto, i concessionari dell’online sono impossibilitati ad operare nei canali di raccolta legali nel mercato italiano. Secondo lei ci sono gli estremi per ricorsi e risarcimenti danni milionari?

Il divieto totale ed assoluto della pubblicità di giochi con vincite in denaro può costituire la base per la proposizione di ricorsi e risarcimenti nei confronti dello Stato Italiano su tre livelli, solo parzialmente sovrapponibili.

Da un punto di vista amministrativo, poiché gli operatori di gioco a distanza detengono una concessione rilasciata dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli che consente, ma anche obbliga, ad offrire giochi a distanza entro termini e sulla base di livelli di servizio molto stringenti per la quale hanno pagato un importo iniziale e pagano con cadenza annuale un canone di concessione, in aggiunta alle imposte sui giochi. A tal proposito, lo Stato italiano avrebbe prima consentito l’offerta di gioco e, in pendenza delle concessioni, l’avrebbe vietata senza prevedere alcuna eccezione per le concessioni già in vigore od oggetto di bandi già pubblicati.

Lei sostiene che il ban sia incostituzionale. 

Ci sarebbe spazio per una possibile contestazione circa la conformità con la normativa costituzionale. Lo Stato italiano ha già introdotto norme a tutela dei giocatori tramite il sistema concessorio che è stato oggetto di numerose decisioni della Corte di Giustizia europea e tramite le limitazioni già introdotte alla pubblicità dei giochi con vincita in denaro. Invece, il divieto totale di pubblicità equivarrebbe ad un totale divieto di offerta di gioco in Italia che andrebbe ben oltre le possibili limitazioni alla libertà di impresa consentite dall’articolo 41 della Costituzione.

C’ è anche una terza strada…

Da un punto di vista di conformità con la normativa europea, un divieto totale ed assoluto della pubblicità di giochi con vincita in denaro sarebbe in contrasto con i principi di libera prestazione dei servizi perché limitativo della libera commercializzazione dei servizi e potrebbe essere oggetto di ricorso alla Corte di Giustizia Europea. Inoltre, è da considerare che lo Stato italiano è obbligato a notificare il divieto di pubblicità alla Commissione europea ai sensi della Direttiva UE 2015/1535 per consentire la revisione da parte della Commissione europea e degli altri Stati Membri per il c.d. periodo di “stand still” di tre mesi il che non è avvenuto al momento.

Con questo decreto, i concessionari italiani legali non sono discriminati rispetto ai concorrenti esteri ed anche agli operatori del terrestre che comunque hanno i loro canali effettivi attivi?

Assolutamente sì. Gli operatori titolari una concessione italiana sui giochi a distanza saranno discriminati da un duplice punto di vista. Tanto nei confronti dei concorrenti titolari di una concessione straniera, considerate le restrizioni che tale misura impone agli operatori che operano in Italia, quanto nei confronti degli operatori terrestri che, mediante le sale da gioco e i negozi di scommesse sportive potrebbero continuare ad “attirare” i giocatori, a differenza degli operatori di gioco a distanza.

Secondo lei il ban è incostituzionale, quali scenari prevede nell’immediato? È vero che i concessionari non possono fare impresa in modo libero in una materia comunque legale come il gioco?

Il divieto si porrebbe in contrasto con il principio della libertà di impresa di cui all’articolo 41 della Costituzione. Lo stesso articolo 41 prevede che l’iniziativa economica privata è libera, limitando tale libertà nei casi in cui sia “in contrasto con l’utilità sociale” o tale da “recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. La portata di tale divieto renderebbe impossibile agli operatori di comunicare al pubblico la propria attività di gioco. Questo perché non solo il divieto potrebbe applicarsi perfino al materiale pubblicitario sui siti dei concessionari di gioco stessi, ma anche perché non ci sarebbe modo per far conoscere i propri prodotti al pubblico, visto che la commercializzazione degli stessi deve avvenire ai sensi della convenzione di concessione stipulata con l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, solo tramite canali di comunicazione a distanza.

Altro punto molto interessante: secondo lei, questo decreto non prevede coperture finanziarie ed è quindi incostituzionale mentre per i 5 Stelle non si prevede alcun tipo di impatto sui conti pubblici. Come stanno le cose? Un crollo del gettito dell’online dovrebbe essere previsto? Il Presidente della Repubblica potrebbe rifiutarsi di promulgare l’atto normativo perché privo di coperture? Se un concessionario dovesse far ricorso, il decreto sarebbe privo di qualsiasi risorsa o sbaglio?

Il divieto di pubblicità del gioco comporterà inevitabilmente una riduzione delle entrate dello Stato in termini di imposte di gioco e canoni di concessione che deriverebbero dalla inevitabile riduzione dell’attività di gioco, oltre al costo di eventuali risarcimenti dovuti ai contenziosi successivi all’eventuale approvazione della proposta. Il Presidente della Repubblica, ma forse prima ancora la Commissione Bilancio, potrebbe mettere un veto a seguito dell’analisi di tale proposta di legge nei confronti di un mercato che genera per lo Stato circa € 10 miliardi di entrate fiscali. A ciò si aggiunga, che tale divieto danneggerebbe tutte le imprese della filiera del gioco e le società media senza ridurre i costi derivanti dal gioco patologico.

È possibile in futuro che i concessionari rinuncino alla concessione ed invochino la libertà di stabilimento e di servizi per operare considerando che stanno andando incontro ad una discriminazione?

La rinuncia alla concessione mi sembra una conseguenza economicamente naturale, prima ancora che giuridica. I profili discriminatori, di cui abbiamo parlato in precedenza, verranno eventualmente affrontati nelle sedi più opportune da parte degli operatori che decideranno di rimanere sul mercato. Ciò che invece dovrebbe far riflettere il legislatore italiano è chiedersi quale imprenditore – i.e. quale concessionario – sarebbe disposto a continuare la propria attività in un mercato in cui l’attività di impresa viene limitata ed in cui non esista alcun tipo di regolamentazione di tipo positivo, ma soltanto un divieto assoluto ed indiscriminato della pubblicità di giochi con vincite in denaro. Sappiamo bene che nell’attuale sistema concessorio, l’elemento principale che distingue gli operatori di gioco titolari di una concessione italiana da quelli privi della stessa deriva dalla possibilità di compiere comunicazioni pubblicitarie che sono chiaramente riconoscibili grazie ai loghi dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli. In assenza di regolamentazione, la pubblicità degli operatori illegali inevitabilmente aumenterebbe (basti pensare alle pubblicità sui social network che sarebbe verosimilmente impossibile perseguire civilmente) e sarebbe più rischiosa per i cittadini italiani perché non soggetta ad alcun controllo. Ciò che rischia di passare inosservato è come l’obiettivo legittimo ed opportuno che il Governo intende perseguire, ovvero la limitazione del gioco d’azzardo, rischierebbe così di produrre l’effetto esattamente opposto, ovvero esporre i cittadini a forme di pubblicità del gioco d’azzardo incontrollate.

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