IPOtesi: scenari futuri per il poker live italiano tra carrozzoni e carboneria

Se in natura “nulla si crea, nulla si distrugge ma tutto si trasforma”, sarà forse così anche nel poker? Tirare fuori Lavoisier per introdurre una riflessione sul futuro del poker live non è proprio la più immediata delle associazioni, certo. Tuttavia il mio/nostro bisogno di ottimismo, in un momento critico come quello attuale per il movimento tutto, diventa quasi un dovere.

Simone Speranza: rimarrà lui l’ultimo vincitore dell’IPO per come lo abbiamo conosciuto?

Con il paradossale filotto di eventi “annuncio nuovo IPO-fallimento del Casinò di Campione-Annullamento IPO” potrebbe essersi definitivamente chiusa una pagina importantissima per il Texas Hold’em italiano.

Sì perché se è vero che l’Italian Poker Open potrebbe rinascere a nuova vita con un altro format, da qualche altra parte o magari itinerante, si tratterebbe comunque di qualcosa di molto diverso. Qualcosa di “lavoisieramente” trasformato, ma sempre imparagonabile con ciò che è stato. Ripercorriamo la storia, allora.

IPO, un successo nato “in direzione ostinata e contraria”

Gli inizi

L’IPO nasce nel febbraio del 2011, pokeristicamente un paio di ere glaciali fa. Il movimento era in piena spinta, il mercato del live viaggiava su ritmi (leggi buy-in) assolutamente fuori da ogni logica. Ritmi che, agli occhi dell’appassionato medio, facevano quasi snobbare eventi da 1.100€ o 2.200€ di buy-in perché ritenuti troppo bassi. Troppo bassi per un periodo in cui anche i sogni degli appassionati erano insostenibilmente high stakes. In quel contesto nasce l’IPO. Nasce come un evento da “soli” 550€, come una cenerentola ma fiera di esserlo.

La carta vincente #1: l’approccio “dopolavorista”

E come tutte le cose controcorrente ma coraggiose, il successo fu clamoroso. La carta vincente era la formula da “dopolavoro”, che permetteva a centinaia di appassionati di regioni limitrofe di partecipare a un torneo live senza dover prendere ferie dal lavoro.

Il marchio di fabbrica (un inedito per l’epoca) erano i day 1 che partivano tutti dopo le 18. Così si dava modo all’avvocato milanese, all’imprenditrice brianzola, all’impiegato varesino di finire il proprio lavoro e dirigersi a Campione per giocare il torneo.

La carta vincente #2: lo zoccolo duro dei circoli

Le primissime edizioni vennero totalmente ignorate da tutti i media di settore. Colpa di un mercato del live che viaggiava su buy-in presto rivelatisi insostenibili ma anche conseguenza di una strategia. Come ci rivelava al tempo Andrea Bettelli, ideatore e deus-ex-machina dell’IPO, l’organizzazione non aveva inizialmente pensato di sostenere costi per la copertura mediatica. L’affluenza era garantita da un connubio mai scritto: quello con i giocatori dei club.

Nel periodo in cui nasceva l’IPO, gli appassionati si erano visti abbattere le possibilità di giocare nei circoli dalla famosa circolare del 9/9/2009 che vietava il poker fuori dai casinò. IPO era un modo per andare incontro alle esigenze di questo numerosissimo popolo, un popolo di giocatori che – per scelta o per necessità – tornava a casa appena finita la giornata di torneo. Anche se era quasi l’alba, anche se il giorno dopo si lavorava.

Forte di uno zoccolo duro di centinaia di appassionati provenienti dai circoli (ma attenzione: mai IPO ha stretto accordi direttamente con i vari club), i numeri di IPO sono andati a crescere vertiginosamente.

Da cenerentola a faro-guida

Allo stesso tempo, le pretese del mercato italiano del poker live si sgonfiavano più o meno a simile velocità. Il buy-in medio si andava sempre più abbassando, fino a raggiungere il paradosso odierno. Nel poker dell’ultimo paio di anni i 550€ dell’IPO sono diventati il buy-in massimo proponibile, per avere un torneo di successo in Italia. Da 301 iscritti a quasi 2500, da cenerentola a faro-guida del poker, nell’arco di non più di 2 anni!

Nelle stagioni successive il brand IPO si consolida ulteriormente, forte di questo suo essere l’unico torneo “autarchico” in circolazione. Da altre parti si facevano i salti mortali per mettere insieme qualche centinaio di giocatori, a Campione bastava dire IPO per fare 2mila cristiani.  Anche senza partner di settore, anche senza garantiti. Però i montepremi garantiti crescevano, eccome!

Il matrimonio del secolo

La scorsa stagione ecco il colpo di scena: il matrimonio che non ti aspetti. Il brand di maggior successo nella storia del poker live italiano sposa il brand di maggiore successo nell’online mondiale, prima che italiano: IPO abbraccia PokerStars.

Sembrava l’inizio di un nuovo e importante capitolo, ma oggi è tutto diverso. Prima Andrea Bettelli che lascia il Campione Poker Team, poi lo stesso Casinò campionese che fallisce, e subito dopo avere annunciato una inedita “summer light edition” del fortunato torneo.

Il futuro

Che futuro ora per l’IPO? Sia da parte di Bettelli che sul versante PokerStars le bocche sono cucite. Le ragioni di tali silenzi sono più che ovvie: nessuno oggi può essere in grado di prevedere cosa sarà di un casinò appena dichiarato fallito. E, per quanto riguarda l’IPO, si potrebbero aprire sì altri scenari, ma – come detto all’inizio – di sicuro niente sarà più come prima.

IPO non più IPO?

Un torneo nato per capitalizzare la vicinanza di un enorme e rinomato casinò alle esigenze dell’avvocato milanese, dell’imprenditrice brianzola, dell’impiegato varesino, oggi, non avrebbe più la sua dimora ideale. Potrà sì diventare ancora una volta qualcosa di importante, per il live italiano, soprattutto se verrà mantenuta la partnership con PokerStars. Riuscire a rilanciare un brand portatore di quei valori aggiunti (accessibilità ai lavoratori, giocabilità estrema, possibilità di vincere cifre alte) che lo hanno fatto diventare un sinonimo di successo non dovrebbe essere impresa impossibile. Inoltre la room dalla picca rossa ha sempre l’invitante carta del Platinum Pass, da giocare per rendere l’evento ancora più attraente.

C’è però un’altra grave incognita, sul futuro non solo dell’IPO ma del poker live italiano.

L’incognita “D.D.” e l’effetto-carboneria

Il (tristemente, per chi scrive) famoso “decreto dignità” potrebbe essere la definitiva scarica di proiettili su un moribondo, che è appunto il poker live nel nostro paese. Abbiamo un casinò appena fallito (Campione), uno che potrebbe fallire e in cui non si gioca una mano di poker da anni (Venezia), un altro che sta cercando lentamente di risalire la china dopo anni difficilissimi (Sanremo) e un altro ancora a sua volta ha vissuto stagioni fallimentari ma che appare oggi l’unico polo capace di attrarre a breve termine eventi importanti (Saint Vincent).

Il casinò di Campione

In questa situazione ingessata, con casinò parastatali gestiti con tutti i difetti degli enti parastatali e delle società partecipate, si potrebbe inserire la cancrena del decreto dignità. Se diventasse impossibile promuovere un torneo di poker, quale organizzatore si sognerebbe più di investire in un evento che non potresti mai far conoscere adeguatamente?

Col decreto dignità persino l’omino IPO potrebbe dover stare “in camuffa”

I casinò esteri gongolano e si fregano le mani. Intanto, noi appassionati italiani potremmo riprendere in mano la storia risorgimentale e ricalcare – nel nostro piccolo – le anguste dinamiche delle società segrete.

In fin dei conti aveva sempre ragione Lavoisier, “nulla si crea e nulla si distrugge, tutto si trasforma”: da pokeristi a carbonari.

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