Jason Koon: “Non fatevi ossessionare dai soldi: danno comfort e sicurezza, ma la felicità è un’altra cosa”

Oggi Jason Koon è uno dei pochissimi giocatori al mondo con la disponibilità economica per sedersi ai tavoli nosebleed e agli high roller più alti. Ma non solo, perché oltre ad essere un poker pro da milioni di dollari, il 33enne statunitense è anche uno dei giocatori più stimati nella ristretta cerchia degli high stakes: qualche anno fa un noto portale chiese ad alcuni top player di esprimere un giudizio su Koon e ognuno di loro (da Ivey a Negreanu) disse che non è solo un giocatore formidabile, ma anche una splendida persona.

Oggi la vita di Jason è decisamente agiata: vince cifre irreali al tavolo, gira per il mondo a caccia delle partite migliori e si guadagna da vivere facendo ciò che ama. Ma il suo percorso non è sempre stato rosa e fiori, perché viene da un contesto molto povero e degradante. Proprio per questo motivo riesce ad apprezzare ciò che ha ottenuto e a rispettare il denaro molto più di quanto facciano tanti suoi colleghi.

Il pro americano ne ha parlato recentemente in un’intervista per Cardplayer.com, ma anche nel corso di un podcast con Joe Ingram aveva raccontato alcuni aneddoti riguardanti il contesto povero in cui è cresciuto e da cui è venuto fuori con forza e determinazione.

Partypoker Millions Jason Koon

Jason Koon

Quando Jason Koon era una testa calda nella periferia americana

Jason Koon è nato il 14 agosto 1985 a Weston, in West Virginia. Un paesino da poco più di 4.000 abitanti, considerato uno di quei posti dimenticati da Dio che caratterizzano la periferia degli Stati Uniti. Quei posti dove il sogno americano non è arrivato, ma l’incubo americano ha affondato le sue radici tra povertà, violenza, degrado e mancanza di prospettive future.

La situazione famigliare di Jason non è stata per nulla facile, nonostante non ne abbia mai parlato nel dettaglio. Ha però confessato di essere stato cresciuto per oltre dieci anni dal patrigno.

“Il più grande successo della mia vita è essere riuscito ad arrivare dove sono ora sapendo da dove sono partito“, ha dichiarato il pro americano. “Quando ero bambino il mio patrigno si prendeva cura di me e ricordo bene che si spaccava la schiena con lavori occasionali per guadagnare $400 a settimana“.

Da adolescente, invece, Jason era una testa calda, come tanti altri ragazzi che crescono nella sua stessa situazione. A Joe Ingram, ad esempio, ha confessato che un tempo era un “regular” delle risse in strada.

“Non ne vado fiero ma fino a qualche anno fa ero ancora quel genere di persona che non si fa problemi a picchiarsi per strada se viene provocato. D’altronde sono cresciuto in un contesto dove tutto ciò che era normale”.

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La consapevolezza all’improvviso, al tavolo della Bobby’s Room

Jason Koon ha poi trovato la sua strada nel poker e dopo una lunga gavetta è arrivato a competete ai limiti più alti in circolazione. Contrariamente a molti suoi colleghi, però, ogni volta che si siede al tavolo lo fa con la consapevolezza che il denaro vada rispettato. La consapevolezza tipica di chi, di soldi, non ne ha mai avuto da piccolo.

“Diversi anni fa, quando mi sono seduto al tavolo della Bobby’s Room del Bellagio, ho capito quanta strada avessi fatto. La partita aveva blinds $200-$400 e quando ho postato le quattro chips per il big blind mi sono reso conto di quanto lavorasse duramente il mio patrigno per guadagnare quella cifra. Mi è venuto da piangere pensando a quanto sia riuscito a cambiare la mia situazione”.

L’importanza di non vivere solo per fare soldi

Questa consapevolezza ha fatto capire a Jason Koon che i soldi sono importanti ma non devono mai essere l’obiettivo finale della vita di una persona. Una bella lezione applicabile anche al poker: si gioca per divertirsi, non per rischiare soldi oltre alle proprie possibilità. Perché a poker non si diventa pro in poche ore…

“Momenti di riflessione come quello che ho avuto nella Bobby’s Room ti aiutano tantissimo a restare con i piedi per terra. Ho avuto grande successo nel poker ma la mia idea di felicità non è cambiata rispetto a quando ero un bambino povero. Ora ho i comfort e la sicurezza, ed è fantastico, ma avere più soldi non significa necessariamente ciò che la società ti vuole far credere. Non significa automaticamente essere felici. Se tutta la tua vita si basa sull’ossessione per il denaro, potresti diventare ricco dopo tanti anni e rimanere molto deluso”.

Jason Koon e la futura moglie Bianca

Jason Koon: “Per due anni voglio dare il massimo nel poker, ma non per sempre”

Secondo Jason Koon, la chiave per la felicità è tutta nell’equilibrio. Lo ha capito iniziando a giocare nelle partite asiatiche, ovvero le più alte al mondo.

“È molto difficile mantenere l’equilibrio quando fai la vita che faccio io. Io e la mia futura moglie Bianca facciamo una camminata ogni sera e parliamo molto del futuro. Lei ha fatto tanti sacrifici per consentirmi di arrivare dove sono ora nel poker. Siamo entrambi d’accordo che per i prossimi due anni dovrò ottenere il massimo dal poker e quindi vivremo di jet leg, swing micidiali e tornai da giocare in ogni parte del mondo. Ma questo non è lo stile di vita che vogliamo avere quando avremo dei figli. Voglio farlo ora perché ho le energie per farlo, ma non ci riuscirò per sempre”.

Cosa significa essere un regular delle partite più alte al mondo

È davvero così dura essere un poker pro degli high stakes? Jason Koon risponde riportando l’esempio del torneo di Short Deck che ha vinto in Montenegro quest’estate.

“Essere un reg degli high roller e delle partite high stakes significa essere sposato con il tuo lavoro. Avere una vita bilanciata diventa impossibile, anche perché ci sono sempre nuovi giocatori che pur di arrivare vivono in modo assolutamente sregolato e in questo modo generano un “edge” nei tuoi confronti. La competizione è altissima e tutti vogliono prendere il tuo posto. È molto stressante. Dopo aver vinto il torneo di Short Deck in Montenegro stavo per collassare, perché venivo da cinque giorni di poker no-stop. Come detto, se voglio mantenere un equilibrio tra la mia vita personale e quella professionale non potrò giocare al massimo per sempre. Ma sono orgoglioso di me stesso per essere arrivato dove sono. Soprattutto se penso a dove sono partito“.

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