Jerry Yang: dal campo profughi al braccialetto WSOP. Il presente tra missioni in Asia e ristoranti

La vita è imprevedibile, un giorno ti strizza l’occhio e il giorno dopo ti può girare le spalle in modo inesorabile. Jerry Yang lo sa bene. Il mondo del poker è ricco di storie ma forse la sua è la più imprevedibile e ricca di colpi di scena.

Nella gioia e nel dolore è però stato sempre fedele alla sua famiglia e coerente con le sue idee, pur di aiutare il prossimo, a costo anche di tornare alle origini. Sulla sua esistenza se ne sono raccontate tante, ma forse sono stati ignoranti molti particolari ed il grande pubblico si è concentrato solo su alcuni episodi che hanno dato un’immagine fuorviante del personaggio.

Jerry Yang (photo courtesy of Jayne Furman – Pokernews)

E’ stato il campione del mondo forse più scarso della storia del poker. Nel 2007 vinse la grande “lotteria” del Main Event WSOP battendo un field di 6.358 players facendo rimpiangere anche il peggior Jamie Gold. Ma se il produttore californiano si è sperperato tutti i soldi negli home games organizzati da Molly Bloom, “donando” gran parte delle vincite ad attori di Hollywood senza scrupoli come Tobey Maguire, Jerry è finito nei guai per la sua eccessiva generosità e molta superficialità nell’affrontare questioni molto serie.

L’infanzia, la fame e il campo profughi

Ma per lui questa caduta è stata solo una parentesi negativa, nulla rispetto alla sua infanzia. Xao Yang, detto Jerry, nasce nel posto sbagliato al momento sbagliato: i primi anni della sua vita li passa nel Laos sotto una feroce dittatura. I comunisti vietnamiti invasero il suo paese (anni ’70) e presero il potere con una violenza inaudita e perseguitarono la sua etnia, gli Hmong.

Scappò con la sua famiglia in Thailandia dove visse per 4 anni in un campo profughi perdendo anche il fratello. Nel 1979 la svolta della sua vita con il volo verso gli Stati Uniti. Da quel momento inizia il classico Sogno americano. Grazie alla sua perseveranza riuscì a laurearsi in psicologia alla Loma Linda University.

Lavorò come terapista e assistente sociale, mantenendo una famiglia con ben 6 figli fino alla seconda svolta della sua vita.

Il poker e quel satellite da 225 dollari

Nel 2005 si avvicinò al poker e riuscì ad andare in the money in 4 eventi in California. Poi nel 2007 partecipò ad un satellite da 225 dollari. Lo vinse e volò al Main Event WSOP. Las Vegas cadrà ai suoi piedi dopo pochi giorni.

In 12 ore di final table Yang mise a segno una delle rimonte più incredibili del Main Event: il suo stack inziale era il secondo peggiore in partenza.

Yang donò il 10% della sua vincita (820.000 dollari) a tre fondazioni: “Make-A-Wish Foundation”, “Feed the Children” e “Ronald McDonald House”. Fece anche una donazione alla Loma Linda University, per farvi capire la generosità di un uomo che fino a quel momento non aveva nulla.

 

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Ma forse fu un errore, perché prima di far del bene agli altri,  doveva coprirsi le spalle e risolvere i suoi problemi con il fisco federale.

Dopo la vincita a Las Vegas continuò a giocare tornei medium e low stakes fino al 2016 ma investì quasi tutto aprendo due ristoranti.

I problemi con il fisco federale

Dopo aver vinto il Main, affrontò i suoi oneri con l’agenzia fiscale in maniera troppo superficiale. Nel marzo del 2013, l‘IRS annunciò che avrebbe messo all’asta le proprietà di Jerry Yang per pagare le tasse non versate. Tra gli oggetti confiscati, oltre agli immobili, c’era anche il suo braccialetto WSOP Championship 2007, l’orologio Corum vinto al Main Event e molti altri preziosi gioielli e orologi.

Il braccialetto fu venduto all’asta ad un 50enne collezionista che lo pagò $ 30.000, meno della metà dell’importo che Jamie Gold ha ricevuto per il suo del Main Event del 2006 e quasi cinque volte inferiore a quello di Peter Eastgate.

In un’intervista con la Fifth Street Radio, Yang ha dichiarato che nel 2008, ha pagato le tasse allo stato della California per oltre $ 900.000 ma per i cattivi consigli dei suoi advisor, quando è arrivato il momento di pagare le tasse federali, non è stato in grado di versare quanto dovuto anche a causa della crisi bancaria: aveva i soldi versati alla Bank of America e gli furono congelati, per questo non aveva, in quel momento, le disponibilità per pagare. Una scusa? Non lo sapremo mai, ma il fatto che Yang in questi anni si sia ripreso rapidamente, avvalora la sua tesi.

Doveva pagare $ 572.000 oltre $170.000 di tasse arretrate e fu la rovina in quel frangente.

L’imprenditore

Ricapitolando: è fuggito dal Laos occupato dai comunisti, ha vissuto in un campo profughi in Thailandia, ha vinto il Main Event delle WSOP per un’epica vincita da $ 8,25 milioni e tutto per che cosa? E’ stato poi perseguitato dall’IRS ed ora…

Sia chiaro: la sua vita da imprenditore non è stata un fallimento come qualcuno ha più volte dipinto. Nel 2009 aprì il primo ristorante “Sushi 8” in California ed investì mezzo milione. Nel 2015 inaugurò il secondo locale a Las Vegas, il Dynamite Grill.

Da quel momento la fortuna gli ha girato le spalle. Dovete sapere che per i laotiani la famiglia viene prima di tutto. Il padre era per lui una delle figure chiave della sua esistenza. Purtroppo si ammalò di tumore e lo perse nel giro di pochi anni. Da quel momento è iniziato un calvario.

La vita in Laos

Nella sua autobiografia “All in” (titolo poco originale ma azzeccato per la sua vicenda personale) descrisse la sua vita in Laos con l’invasione dei comunisti vietnamiti durante gli anni ’70, la vita durissima e gli atti di coraggio del padre che riuscì a portarli in Thailandia. Gli Yang riuscirono ad arrivare negli Stati Uniti ma la fame li ha accompagnati per anni. Per questo Jerry ha sempre ammesso di voler gestire ristoranti, proprio per questo amore verso il cibo ed il bisogno di cancellare spiacevoli ricordi.

Durante la malattia, Yang si è occupato notte e giorno del padre e gli affari non andarono bene. Fu costretto a chiudere il Dynamite Grill, poi tragicamente il padre morì nel 2016, un vuoto che Jerry ha cercato di riempire, aiutando gli altri. E’ così volato in Laos, in Vietnam e Thailandia per sostenere alcune missioni. 

Ora, all’età di 53 anni, divide la sua vita tra l’Asia (con le missioni) e la California dove gestisce sempre il suo ristorante giapponese di successo. Negli ultimi anni ha ricevuto anche diversi premi nella contea di Merced come migliore cucina.

Ama sempre interagire con i suoi clienti e, risolti il problemi con il fisco, continua ad investire  in immobili. Il peggio sembra passato e contrariamente da come è stato dipinto, in California sostengono che Yang sia comunque un businessman tutt’altro che sprovveduto come vorrebbero le leggende su di lui. La fede e la famiglia rimangono però le sue priorità nella vita, una vita per nulla banale.

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